Anche sull’onda di questi successi, da ottobre dello scorso anno il National Institute of Health americano ha rotto gli indugi, finanziando per la prima volta uno studio che coinvolge sostanze psichedeliche: la psilocibina, in particolare, di cui i ricercatori della John Hopkins University stanno indagando l’efficacia contro la dipendenza dal fumo di sigaretta. Ovviamente, quello che viene sperimentato oggi non è l’utilizzo disinvolto che si poteva osservare nel dopoguerra. I protocolli di psicoterapia psichedelica sono estremamente rigidi. Prevedono pochissime sessioni in cui viene utilizzata la sostanza, sotto supervisione dei terapeuti, e sessioni di psicoterapia che precedono e seguono l’assunzione, per preparare il paziente e aiutarlo ad elaborare le esperienze fatte.

La sostanza più studiata è la ketamina, sulla quale sono stati già effettuati più di una cinquantina di trial clinici. A seguire, l’Mdma, indagata in quasi 20 trial clinici come terapia contro il disturbo da stress post traumatico (indicazione per cui ha già ricevuto la designazione di breakthrough therapy dall’Fda), l’ansia e l’abuso di alcol, e l’ansia sociale in persone con autismo. E quindi la psilocibina (breakthrough therapy per la depressione resistente ai farmaci), con una decina di trial clinici contro depressione, dipendenze, e ansia in pazienti terminali. L’Lsd in tempi recenti è invece ancora poco studiato, perché si tratta di una sostanza allucinogena estremamente potente, ma è considerato promettente per il trattamento di disturbi dell’umore, ansia, e anche emicranie.

Con tanto interesse attorno al mondo della “psichiatria psichedelica”, non resta che chiedersi quando verranno approvate le prossime terapie. Ma rispondere è difficiel. Esistono problemi oggettivi (come l’impossibilità di effettuare studi randomizzati in doppio cieco, il golden standard in medicina, visto che è impossibile nascondere ai pazienti di aver assunto una sostanza come l’Lsd), e una generale mancanza di interesse economico nel loro sviluppo. Si tratta di sostanze per lo più prive di brevetto, e senza i capitali dell’industria farmaceutica è difficile effettuare i grandi trial clinici necessari per superare il vaglio delle agenzie regolatorie. La storia della ketamina (il cui brevetto è scaduto da due decenni), in questo senso, è probabilmente emblematica: nonostante anni di ricerche e un generale consenso sulla sua efficacia, l’approvazione è arrivata solamente quando la Janssen Pharmaceuticals ha brevettato un suo derivato, l’esketamina, finanziando le ricerche necessarie.